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La storia di ‘Peppino’ Gracceva, il partigiano che salvò Pertini e Saragat

AutoprodottiLa storia di ‘Peppino’ Gracceva, il partigiano che salvò Pertini e Saragat

Il nuovo libro del giornalista Massimiliano Amato verrà presentato giovedì 12 settembre alle ore 18.00 presso Feltrinelli librerie di Salerno  

Sarà presentato giovedì 12 settembre, alle ore 18.00, presso Feltrinelli librerie di Salerno, il volume “Gracceva. L’avventurosa vita del partigiano che salvò Pertini e Saragat” (pag. 252, euro 18,00), il nuovo libro del giornalista Massimiliano Amato, condirettore della “Critica Sociale”, la storica rivista socialista fondata nel 1891 da Anna Kuliscioff e Filippo Turati.

Con l’autore dialogheranno gli storici Giuseppe Foscari, docente dell’Università degli studi di Salerno e Vittorio Salemme, della Società Salernitana di Storia Patria, e l’ex Presidente di Corte d’Appello Claudio Tringali, assessore alla sicurezza del Comune di Salerno.

Pubblicato da Arcadia Edizioni nella collana di studi storici della Fondazione Pietro Nenni, il volume è il risultato di un lungo lavoro di ricerca presso archivi privati e pubblici e racconta la vita di Giuseppe “Peppino” Gracceva, nome di battaglia il Maresciallo Rosso, capo militare delle Brigate Matteotti a Roma e nel Lazio.

Gracceva fu uno dei principali protagonisti della lunga opposizione armata alle truppe di occupazione tedesca nella Capitale: in quei drammatici e sanguinosi 271 giorni che andarono dal 10 settembre 1943 al 4 giugno 1944 diede prova di straordinario coraggio e intrepida determinazione, partecipando con un ruolo di primissimo piano ad alcune delle azioni più clamorose messe a segno dalla Resistenza romana contro l’esercito invasore.

Su ordine di Pietro Nenni, fu lui, con Giuliano Vassalli, Alfredo Monaco, Filippo Lupis e Marcella Ficca, a organizzare e a portare a termine la più grande beffa che la Resistenza romana riuscì a fare a Priebke e Kappler: l’evasione, il 25 gennaio del 1944, dal carcere di Regina Coeli dov’erano rinchiusi da tre mesi, di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat, due futuri presidenti della Repubblica che erano stati condannati a morte dalle SS.

Catturato a sua volta agli inizi di aprile, Gracceva trascorse più di 50 giorni nella prigione tedesca di via Tasso, dove benché sofferente per i postumi di una grave ferita a un polmone operata chirurgicamente con mezzi di fortuna, resistette eroicamente alle torture e alle sevizie a cui venne sottoposto, senza rivelare i nomi dei suoi compagni di lotta.

La sua attività antifascista era cominciata nel Pcd’I nel 1922, a soli 16 anni: arrestato più volte per attività sovversiva, nel 1937 era stato condannato a 5 anni di carcere dal Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.

Nel 1939, mentre era rinchiuso nel carcere di Civitavecchia, lasciò i comunisti, sentendosi tradito dal patto Molotov-Ribentropp. E nel 1943 partecipò alla ricostruzione del Partito socialista, diventando intimo di Vassalli, Pertini, Nenni, Lizzadri e tutti i capi socialisti dell’epoca.

Nel dopoguerra fu membro della Consulta Nazionale, e insignito della Medaglia d’Argento al Valor Militare, col grado di Tenente Colonnello dell’esercito di Liberazione nazionale. Nel giugno del 1944, subito dopo la liberazione di Roma, fu tra i fondatori dell’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani): entrò a far parte del primo esecutivo di soli 8 membri, e in seguito ne fu a lungo dirigente nazionale.

Fu membro della Consulta Nazionale dall’aprile del 1945 al giugno del 1946, e ricoprì incarichi politici e di partito, nel Psi. Tra gli inizi degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Settanta visse a Salerno, dove arrivò dopo aver ottenuto dall’Eni-Agip una concessione per la commercializzazione di prodotti petroliferi.

Morì nel 1978, pochi mesi dopo l’elezione al Quirinale del suo grande amico Sandro Pertini, il quale inviò un picchetto di corazzieri ai suoi funerali.

Raccontando la vita di Gracceva, Amato ricostruisce quasi per intero la parabola dell’antifascismo romano: dall’attività clandestina dei gruppi comunisti nella Roma dei primissimi anni del regime mussoliniano, fino alla Resistenza armata delle formazioni partigiane nei 9 mesi dell’occupazione nazista della Capitale.

“Riannodando i fili dell’avventurosa vita del partigiano che salvò dai boia delle SS due futuri Presidenti della Repubblica – si legge nell’introduzione – si sgretola anche qualche colpevole sottovalutazione storiografica.

Come quella del ruolo dei socialisti nella Resistenza. Che a Roma, nei 271 giorni dell’occupazione tedesca, fu rilevantemente importante. Con atti politici e militari, poco e male investigati finora e per lo più affidati alla memorialistica di parte, che rientravano in una strategia compiuta e, soprattutto, sempre coerente. Q

uella che mirava a trasformare la lotta di liberazione dal fascismo e dall’occupante tedesco nella leva per cambiare il mondo. Completamente, repentinamente e non per aggiustamenti progressivi, che si sarebbero presto trasformati in accomodamenti o compromessi”.

E nella prefazione, lo storico Alberto Benzoni, per lunghi anni vicesindaco della Capitale, scrive: “Con l’andare del tempo e lo spegnersi delle polemiche e delle contrapposizioni era lecito sperare che il messaggio lasciato dalla Resistenza riemergesse nella sua permanente attualità.

Parliamo del fatto che questa non è stata il patrimonio di un gruppo o di un partito, autorizzato quindi a gestirne la memoria, spesso in omaggio ai suoi interessi strumentali.

Appartenendo invece a un vasto arco di forze e di sensibilità, unite nella volontà di riscattare il nostro paese dall’onta del fascismo. E che questa unità di fondo tra diversi-  partigiani e civili, operai e intellettuali, combattenti ma anche attendisti, intesi a preparare l’avvenire e impervi rispetti al messaggio del fascismo repubblichino, laici e cattolici, democristiani, azionisti, socialisti e comunisti – fosse, di per sé, un fattore di legittimazione suscettibile di resistere all’usura del tempo e alle modificazioni del clima politico.

Ma così non è stato. In questo quadro, il libro di Massimiliano Amato è, in primo luogo, un’”opera di bene”. Perché ci consente di respirare aria pura e di guardare in modo diverso a un mondo lontano.

E nel segno di una memoria comune perché condivisa, baluardo essenziale contro chi opera costantemente per cancellarla”.

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